Questa chiesa è stata costruita nel Medio Evo, al termine dell’XI secolo, da monaci appartenenti all'ordine benedettino riformato di Cluny. Ma ciò che noi attualmente vediamo copre altre due chiese che sono state costruite prima.
In questo luogo c’era una piccola cappella detta “cella memoriae”, che ricordava il luogo della morte o la tomba di un martire: è stata scoperta nel corso degli scavi effettuati dal 1994 al 1996, ed è datata, secondo gli studiosi, IV secolo. E’ stata ritrovata una piccola chiesa che era orientata a ovest, e non a est, come tutte le chiese a partire dal VI secolo, e come era già in uso nella Chiesa d’Oriente.
Nel corso dell’XI secolo, sulla precedente “cella memoriae”, è stata costruita un’altra piccola chiesa, ma con l’abside a est. Questa, che è stata dedicata a Santa Maria, apparteneva, con i territori circostanti, a dei vassalli dell’Arcivescovo di Milano; è stato ritrovato il documento che attesta la donazione della Chiesa di Santa Maria all’Abbazia di Cluny. I monaci arrivano e decidono di costruire una chiesa per la loro comunità.
I monaci di Cluny consacravano la loro vita unicamente alla preghiera; non lavoravano, perché le donazioni permettevano loro di far lavorare dei servi. Occorreva una chiesa degna del culto lungo tutta la giornata.
Cominciarono dall’abside e continuarono con le navate, fino a coprire completamente la seconda chiesa, quella di Santa Maria, che già aveva coperto la “cella memoriae”.
Adesso parliamo di questa chiesa cluniacense, quella che noi vediamo oggi. Essa è in stile romanico, con tre navate e una serie di pilastri alternati, forti e deboli.
Due caratteristiche di questa chiesa: le pietre, utilizzate nella costruzione in mattoni, dette di “reimpiego”, una sorta di riciclaggio dei tempi antichi; l’”opus spicatum”, cioè la disposizione dei mattoni, posati “a spina pesce”. Anche quest’ultima tecnica serve, non solo a decorare, ma anche a riutilizzare differenti tipi di mattoni, provenienti da costruzioni precedenti o da crolli.
Da osservare in loco sono due cicli di immagini: il portale e l’affresco dell’abside.

4.a.4 La sequenza dei dodici personaggi

Sotto la scena principale si trova una sequenza di dodici personaggi, di cui dieci tengono in mano dei cartigli (grosse pergamene scritte che potrebbero riportare ad un’usanza medievale. In occasione di feste religiose venivano rappresentati sulle piazze, davanti alle Chiese, i “Misteri”, cioè sacre rappresentazioni, precedute da una sfilata di Profeti che tenevano in mano cartelli con frasi riferite a sè stessi, attinenti alla scena che poi si sarebbe rappresentata).
I personaggi rappresentati sono profeti e figure importanti dell’Antico Testamento; possiamo tentare di identificarli leggendo le frasi scritte sui cartigli o nell’unico caso in cui non ci sia interpretando alcune sue caratteristiche. La frase sul cartiglio è scritta in latino, ma verrà riportata tradotta in Italiano.
Da sinistra:

  • Il profeta Isaia. “Ecco il signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole?” (Is. 50,9).

    Sembra che la scritta segua lo slancio del suo braccio, come per indicare la scena raffigurata sopra.
  • Il Profeta Geremia. “Migliorate la vostra condotta e le vostre azioni. E io abiterò con voi in questo luogo” (Ger. 7,3).

Il profeta Aggeo. “Sì, risposero i sacerdoti, sono immonde! Ora riprese Aggeo: Tale è questo popolo, tale è questa nazione davanti a me” (Ag. 2,14)

Per capire queste parole è necessario riprendere la vicenda narrata nel libro del profeta Aggeo: il Signore degli eserciti chiede al profeta di interrogare i Sacerdoti e richiedere loro se uno che è contaminato per il contatto con un cadavere, rende immonde tutte le cose che tocca, come pane, vino, olio, o altro. La risposta dei Sacerdoti è quella che viene riportata nel cartiglio.

Lo sguardo della figura affrescata sembra guardare verso il basso.

  • Il profeta Zaccaria. “Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso” (Zc. ),9). Lo sguardo del profeta è rivolto a Gesù.

Il luogo di cui si parla è il tempio di Gerusalemme; probabilmente i monaci l’hanno attualizzato riferendolo alla Basilica.

Il profeta Geremia porta un copricapo sacerdotale e sembra guardare verso l’assemblea riunita in Chiesa.

  • Il quinto personaggio. Di questa figura ci rimane ben poco che possa farcelo identificare. La distruzione di questa parte di affresco è dovuta all’applicazione della cornice in marmo che ornava il quadro dell’Assunta ( fare un riferimento?)
  • Il profeta Daniele. “Ora tu, Daniele, chiudi queste parole e sigilla questo libro, fino al tempo della fine” (Dn. 12,4)
  • Il profeta Ezechiele. “Ecco io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura, come un pastore passa in rassegna il suo gregge” (Ez. 34,11-12).

Daniele ed Ezechiele sono i personaggi centrali , posti l’uno di fronte all’altro.

  • L’ottavo personaggio. Anche di questo, sempre a causa della cornice, rimane ben poco che permetta di identificarlo.
  • Il profeta Abdia. “Come hai fatto tu, così a te sarà fatto, ciò che hai fatto agli altri ricadrà sul tuo capo” (Abdia 1,15); queste parole richiamano quelle di Gesù “Con la misura con la quale misurate, sarete misurati” (Mt 7,2): forse proprio per questo lo sguardo di Abdia è rivolto al Cristo Giudice che sta nell’affresco, sopra di lui.

Come il quarto profeta, Abdia che è il quart’ultimo porta un copricapo, ma i questo caso è un copricapo penitenziale.

  • Il profeta Michea. “Guai a coloro che meditano l’iniquità e tramano il male sui loro giacigli; alla luce dell’alba lo compiono” (Mi 2,1)
  • Mosè, il protagonista dell’Esodo. In questo caso la citazione sul cartiglio è scritta dall’alto in basso, non seguendo il movimento della pergamena, e chi ha scelto la frase non si è riferito a un passo preciso, ma probabilmente si è ispirato a più testi, riassunti così: “Non adorerai altri dei. Io sono il Signore …di tutti…”.

4.b.1 Che cosa rappresenta il portale?

Il Portale di S. Maria in Calvenzano

Il portale della chiesa di Calvenzano è stato scolpito da uno o più autori di cui non conosciamo il nome, all'interno di un ambiente artistico-culturale sicuramente romanico. C'è divergenza fra i vari studiosi nell'individuare a quale precisa linea di influenza romanica si debba ascrivere l'archivolto di Calvenzano (1), ma vi é unanimità nel porlo, comunque sia, dentro il gusto e l'espressività artistica del XII secolo. Quanto al soggetto rappresentato, si tratta inequivocabilmente dei "Vangeli dell'Incarnazione e della Natività di Cristo", e non esattamente dei "Vangeli dell'infanzia", che includerebbero anche la Presentazione di Gesù al Tempio e il Ritrovamento presso il tempio a Gerusalemme.  Un soggetto, quello dell'Infanzia di Gesù, fortemente fecondo dal punto di vista artistico nella civiltà e cultura medievali.
Per avere un'idea del modificarsi - all'interno di un humus che resta comunque medievale - della stessa fonte ispirativa rappresentata dai vangeli lucano e matteano, si considerino l'"Adorazione dei Magi" in Sant'Apollinare Nuovo a Ravenna, le "Scene dell'Infanzia di Gesù" in Santa Maria Foris Portam a Castelseprio, e le "Storie della Vita di Cristo" di Bonanno Pisano presso il Duomo di Pisa (2). Un'ispirazione presente non solo nelle chiese, ma anche in quello che al tempo era il vissuto religioso folkloristico e popolare della Sacra Rappresentazione seguita poi dalla "Laude". Le scene dei Vangeli dell'Infanzia sono nove e sono disposte secondo una precisa trama di regole e simbolismi.

Alla base destra si situa l'Annuncio a Maria, contrappassato all'opposta sinistra dalla "Morte di Erode il Grande".
Le scene a destra, fino alla Natività, sono sovrastate da un arco a volta che simboleggia la benedizione di Dio e della Grazia; mentre nulla di simile si incontra a sinistra, dove episodi come la Strage degli Innocenti sono contenute semplicemente in una nicchia quadrata, simboleggiante l'elemento terrestre, quindi peccaminoso. All'apice dell'arco rimane unicamente il Bene, evidenziato dai due episodi della Regalità del Cristo (Adorazione dei Magi), mentre la Sacra Famiglia, lasciando l'Egitto, "fugge" verso destra. Il portale, in pietra di Saltrio o di Vaprio, presenta poi un secondo livello interno di abbastanza agevole interpretazione: la ghiera ornata a linea continua, anche qui con antitesi fra "Bene" e "Male".  L'ornato, in corrispondenza del lato destro, si arricchisce di cornucopie e frutti, mentre alla sinistra tende ad "asciugarsi" e a limitarsi ad una sterile ramificazione. Sugli altri elementi che completano il portale, purtroppo esistono unicamente congetture. Non sappiamo se esistesse un timpano, e comunque, se mai è esistito, da secoli è stato sostituito prima con una grata, poi con un pluteo di granito. Ai lati della struttura figurano due o avanzi di capitelli non simmetrici,, che potrebbero provenire o dalle mensole delle colonne o avanzi di capitelli non simmetrici,, che potrebbero provenire o dalle mensole delle colonne                                                                                                                            Particolare di DX

interne alla chiesa, oppure dal porticto che si presume sia esistito, almeno per alcuni secoli, davanti alla facciata. Si pensa poi che le figure animali immorsate nel laterizio della facciata possano essere simboli di Evangelisti, provenienti anch'esse o dall'interno dell'edificio o dal portico.
NOTE

1) Nella discussione sul "quando" del portale di Calvenzano sono entrati Diego di Sant'Ambrogio, A.Kingsley Porter, G.De Francovich, Mirabella Roberti, E.Arslan, M.Luisa Gatti Perer, Arturo C.Quintavalle e altri, tutti citati in F.Repishti, Il priorato cluniacense di Santa Maria in Calvenzano, 2000. Le influenze "borgognone" del portale si paleserebbero nella movimentazione obliqua dei quadri [abbazia di Vézelay], quelle comasche nel parallelismo con Sant'Alberto a Pontida; quelle emiliane nella disposizione a coppie delle figure in ogni nicchia [cfr. René Jullian, Le portail d'Andlau et l'expansion de la sculpture lombarde en Alsace à l'époque romane, in "Mélanges d'archéologie et d'histoire, 1930].

2) I tre episodi sono rispettivamente collocati nel IV-V secolo dopo Cristo (Ravenna, età tardoantica); fra VI e IX secolo (Castelseprio, arte longobardo-carolingia); al pieno XII secolo (Duomo di Pisa, romanico toscano).

4.b.2 Destra/Sinistra?

I numerosi studi effettuati sul complesso parrocchiale, artistico e monumentale di Santa Maria in Calvenzano (1) concordano nel datare l'archivolto della basilica alle concezioni artistiche del pieno romanico latino [sec.XII], quindi ad una civiltà che amava esprimersi attraverso simbologie.

Pavia, San Michele Maggiore: il combattimento contro il Peccato (particolare dei fregi in arenaria, sec. XII)Il leitmotiv è quello del culto dei morti e del trapasso delle anime, collegato al patrono della basilica, l'arcangelo Michele, in funzione di "psicopompo" dal greco (psiché, anima e pempo, accompagnatore), colui che accompagna le anime nell'aldilà.

Cioé "allusioni a concetti" più che figurazioni, in grado di essere comprese da un numero più o meno vasto di persone (2). Anche in Santa Maria in Calvenzano non mancano precisi codici simbolici e uno di questi è contenuto nel portale. La figurazione delle "Scene della Natività di Cristo" va correttamente letta "procedendo da sinistra verso destra" - in ordine orario quindi - per afferrarne il senso o meglio il messaggio cristiano. La serie di quadri scolpiti, nove, raggruppa le scene attraversate dal Bene e dalla Grazia a destra di chi guarda, dal lato nobile. Quelle macchiate dal Peccato e dalla nequizia stanno a sinistra, lato ignobile del corpo e del pensiero. Il "lato del Bene" si origina nell'Annuncio a Maria, momento in cui la Grazia entra nella Storia; il lato del Male specularmente culmina con la morte terribile di Erode il Grande, narrata da Giuseppe Flavio e probabilmente conosciuta, nella cultura romanica, anche quella popolare delle Sacre Rappresentazioni o del "teatro dei Misteri", come "tradizione apocrifa generica".  Si noti peraltro come la punizione di Erode appartenga, in senso stretto, al potere di Dio sulla Creazione, e di conseguenza sia più corretto leggere l'opposizione di significati, presente nell'archivolto, come antitesi fra la penultima scena a sinistra, la Strage degli Innocenti, e la prima a destra, l'Annuncio a Maria.  All'arco è quindi sotteso un concetto riassumibile come "fuggire dal Male e dal Peccato, operare il Bene e confidare nella Grazia".

La Destra di Dio, Calvenzano

NOTE

1)Cfr: Francesco Rephisti, il Priorato cluniacense di Santa Maria in Calvenzano, Area Studio 1999.
2) In realtà molti studi e saggi che affrontano il problema della simbolica medievale lasciano questa domanda piuttosto in secondo piano: quanti, al di fuori delle èlites colte ed ecclesiastiche, sapevano esattamente decifrare i terribili moniti dei "mostri" e delle grottesche romaniche?

4.b.3 Erode come Teodorico?

Villareggio, frazione di Zeccone (Pv), 'antichissima zona absidale della Pieve di San Giovanni Battista e inserti ornamentali di materiali in pietra, di probabile origine romana, nella muratura esterna di cascina Rosa. Secondo la scuola storica pavese attuale (Fabio Troncarelli e altri), Severino Boezio potrebbe avere affrontato il martirio qui. Nella "Villa Regis" di un re barbaro, Teodorico, forse.

Diversi l'hanno creduto (1), e se così fosse Vizzolo e la sua zona avrebbero nella loro storia un personaggio che probabilmente offusca tutti gli altri. Il "De consolatione philosophiae", la massima opera di Boezio e uno dei non sovrabbondanti frutti del pensiero occidentale nella prima metà del Medioevo, sarebbe stato composto 1500 anni fa nel monastero di Calvenzano. Calvenzano, Vizzolo Predabissi: epigrafe murata il 23 ottobre 1947 sul contrafforte N della chiesa, a memoria del presunto martirio in sito del filosofo e uomo politico A.M.Severino Boezio  O nella chiesa primitiva. O in qualunque altra cosa esistesse, aspettando la propria condanna a morte.
Tale pista interpretativa mu
ove (oltre che dai testi) da simbologie vere o presunte. L'ottava e la nona figura da destra, nel portale diingresso alla basilica, effigiano rispettivamente "La strage degli innocenti", episodio riferito dai Vangeli dell' Infanzia, e "La morte di Erode il Grande" (ca. 4 a.C.), un episodio circostanziato dal testo di Giuseppe Flavio "Antichità Giudaiche" (2) e per nulla dai Vangeli canonicamente accettati. Le "Antichità Giudaiche" non dicono che Erode il Grande si suicidò, ma che morì per una sorta di ictus che lo prese mentre faceva un bagno curativo in una conca d'olio. Qualcuno ha voluto vedere nella tragica e dolorissima morte dell'autore della "Strage degli innocenti" la "figura" (in termini storico-biblici) della "Strage dell'innocente": Anicio Manlio Severino Boezio, l'"ultimo dei romani", l'unico che avrebbe potuto avviare, 250 anni prima di Carlomagno, la fusione fra latinità e germanesimo. Si è argomentato che sul portale di Calvenzano in effetti di bimbo ucciso se ne vede uno solo (uno come il martire Boezio, della cui esecuzione non collettiva siamo certi); che sia Teodorico che Erode sono morti pochissimo tempo dopo l'iniqua persecuzione di Gesù Cristo e Boezio; e infine che uno dei testi che più ci dicono sulla dominazione ostrogota d'Italia , nel poco che si ha, il cosiddetto "Anonimo Valesiano" o "Excerpta Valesiana", fa morire Teodorico dopo tre giorni di fluxus ventris, situazione che ben chiama di starsene calati in una tinozza. Come la botte che si vede a Calvenzano. 
Vero é che le reliquie dell'aLa questione, da un punto di vista filologico, documentario e repertistico, sembra onestamente pendere dalla parte "pavese"(3). Cioè spostare l'esecuzione di Boezio ugualmente in un luogo chiamato "Calvenzano", ma in prossimità di Pavia. E ce ne sono almeno due anche lì. Il dato di fatto é che le reliquie di San Severino Boezio (sarebbe meglio dire: le reliquie "ritenute di San Severino Boezio") si trovano a Pavia, nella chiesa romanica molto rimaneggiatadi San Pietro in Ciel D'Oro, dove si trova anche l'arca gotica con le spoglie di Agostino di Ippona. Per ipotizzare un'esecuzione di Boezio in territorio decisamente diocesano milanese, nel 524 d.C., occorre introdurre una successiva "traslazione reliquiale", avvenuta nel Medioevo centrale, che abbia in un certo senso cancellato la memoria di Boezio martire milanese facendone un santo della diocesi di Pavia.

A Pavia non c'è una reliquia di Boezio, ma l'intero "Corpo Santo". utore del "De Consolatione philosophiae" sembrano effettivamente "apparire", spuntare da un lungo obliò, anche nel mondo pavese, e le più recenti interpretazioni ritengono non plausibile la tradizione che vorrebbe sia stato il re longobardo Liutprando (712-744 d.C.) ad averle scoperte "solo" dopo duecento anni di dispersione. Se Boezio è morto a Pavia, o vicino, per almeno cinque secoli anche i pavesi si erano dimenticati dove (4). Ma è pensabile che questo "dove" significhi Milano o zona ambrosiana, considerando anche l'orgogliosa autonomia di Pavia, capitale longobarda e carolingia, rispetto a Milano ?  Un elemento che potrebbe ancora oggi spostare verso il partito "milanese" la questione sarebbe il rinvenimento, in qualche codice o regesto medievale del nome ager calventianus (così come l'Anonimo Valesiano indica il luogo del martirio di Boezio) riferito al "nostro" Calvenzano, quello di Vizzolo.

a questa dizione, per ora, non si è trovata. M                                                                          Emanuele Dolcini         

 

 

 

 

 

        NOTE

1) Cfr. Luigi Biraghi, Severino Boezio filosofo teologo e martire in Calvenzano Milanese, edizione Ambrosiana 1865; sac. Ildefonso Schuster in "L'Italia", ottobre 1947.
2) Cfr. Studio Architetti Sala, Il portale di S.Maria Assunta [sic] a Calvenzano,1996.
3) Come "confutazione" del Boezio milanese é ancora oggi valido il vivace opuscoletto di sac.Faustino Gianani, In Agro Calventiano, Melegnano 1961
4) Cfr. i recenti e brillanti studi di Fabio Troncarelli, Il sepolcro di Severino Boezio, riportati anche nel sito www.paviaedintorni.it. Troncarelli ritiene che il Calvenzano pavese sede dell'esecuzione sia da identificarsi con la località "Cravenza di Villareggio", circa 10 km a nord-est di Pavia, e che il ritrovamento delle reliquie non possa in alcun modo essere anteriore all'XI secolo.

5.2 Pietre e Mattoni: una passeggiata archeologica

Domenica 22 dicembre 2014, in compagnia del giovane ma “robusto” archeologo pavese Mauro Manfrinato, abbiamo fatto una sorta di “passeggiata archeologica” dentro e fuori la nostra amata chiesa di Santa Maria in Calvenzano. Fra pietra e mattone, a caccia delle successive fasi costruttive della basilica, sono emersi molti rilievi interessanti. Certo non si tratta in tutti i casi di osservazioni inedite, quanto piuttosto di riattualizzazioni di rilievi condotti durante le due campagne di restauro del Novecento, quella dei primi anni Settanta e quella, più radicale, che dal 1995 in avanti ha tenuto chiusa per quattro anni la parrocchia fino alla riconsacrazione nel settembre '99. Tuttavia, fare divulgazione storico culturale è anche riattualizzare, e perciò proponiamo ai navigatori di “In Agro Calventiano” alcuni spunti di riflessione.

IL PORTICATO ESISTEVA

Molto si è discusso sull'esistenza o meno, in tempi non vicinissimi a noi, di un portico, un pronao, posizionato in continuità con la facciata della basilica, sporgendo per un numero imprecisato di metri sull'area dell'attuale sagrato. Qualcosa di simile a quanto si osserva a Chiaravalle Milanese. Gli indizi a favore dell'esistenza di una simile struttura (certamente non romanica ma posteriore) in Calvenzano sono diversi ma uno più di tutti si segnala: la manifesta visibilità, nel corpo della facciata, degli arconi “di attacco”, per così dire, del corpo porticato in questione. I sesti tondi così grandi, in una facciata a capanna di dimensioni tutto sommato modeste, che senso avrebbero se fossero puramente decorativi? L'archeologo da noi interpellato propende decisamente per l'esistenza del nartece. Un primo manifesto indizio è dato dal fatto che i mattoni delle arcate non sono in linea con la “fase” strutturale della navata. Detto in parole povere, appaiono una “cicatrice” rispetto al liscio del laterizio. Come appunto se qualche cosa fosse stata “buttata giù”. Già, ma come è che nello scavare sotto il sagrato non si è trovato un solo coccio di questo porticato antico? Manfrinato ritiene che i “pezzi” non si siano trovati perchè il sagrato ai tempi dei cluniacensi era alto come l'attuale; poi è stato sbancato fra Otto e Novecento (portando quindi via i “pezzi” del pronao abbattuto) quindi ancora rialzato al livello attuale che, per pura coincidenza, è esattamente quello medievale.

L'ABSIDE ERA MENO ALTA

Spostandosi all'opposto capo della basilica, cioè all'abside, il nostro ospite (storico locale, collaboratore di Italia Nostra ed autore del volume “Edilizia storica melegnanese”, edito nel 2012), ritiene palese che questo sia attualmente ribassato rispetto al livello originario, cioè a come sarebbe potuto apparire ad un osservatore vizzolese del Medioevo. E' evidente l'impossibilità estetica di fondazioni absidali così irregolari come quelle che oggi appaiono uscire dalla terra. La pietra che sostiene l'abside di Calvenzano (in larga parte proveniente da strutture romane preesistenti, massimamente sarcofagi) ha una struttura “dentata”, ondivaga, manifestamente inattendibile in un edificio che si cominciava a costruire, mettendoci quindi più cura, dall'abside. La conclusione è che ai tempi in cui i monaci di Cluny abitavano Calvenzano, il livello absidale era molto più lineare e iniziava circa 30 cm sopra l'attuale, dove si scorgono masse lapidee piatte e ben lavorate.

 

 

IL “MISTERO” DELLE COLONNE RIUTILIZZATE. O NO ?

Ad un attento osservatore degli interni della basilica non può sfuggire un particolare: che almeno sei colonne della navata N, quella di sinistra per chi entra, presentano delle fondazioni in pietra di uguale lavorazione e tipologia secondo il seg ente schema:

                                                                                  ABSIDE

                                                 1

                                                 2

                                          N     3                                             S

                                                 4

                                                 5      6

                                                                               INGRESSO                              

Si tratta di basi lapidee alte meno di mezzo metro, distinguibili per il caratteristico “rostro” ai due lati, che sostengono una struttura cilindrica di (prevalente ma non esclusiva) fattura in laterizio romanico. Le colonne sembrano anche “segate” e intervallate a dischi successivi alla massa di laterizio, forse per rafforzarla. Si potrebbe trattare delle colonne della prima chiesa di Santa Maria, quella cioè che i tre feudatari melegnanesi “tenebant ex longo tempore”, quando attorno al 1095 donarono il sito all'ordine cluniacense, e che oggi è sepolta sotto il pavimento moderno, invisibile a visitatori e parrocchiani? Lo studioso da noi interpellato raccomanda prudenza. L'inserimento degli elementi in pietra nella navata N appare in linea generale “in fase” con il mattone medievale. Il che significa: è estremamente improbabile che le colonne siano state inserite molto dopo, forse per contraffortare il muro portante, perchè in questo caso chi avrebbe messo in atto l'operazione si sarebbe preso la briga di ricostruire la muratura romanica con gli stessi precisi attacchi alla nervatura colonnare. Ed in “opus spicatum” per giunta! Da qui a dire però che i piedini” siano “la vecchia chiesa” riemersa, ce ne passa. E' più probabile che si tratti di lavorazioni lapidee commissionate apposta per essere intervallate al laterizio e rafforzarlo; nel XII secolo però, non cavandole dalla terra di un Medioevo ancora più fitto.

Emanuele Dolcini