Accenniamo brevemente ai colori con particolare attenzione alla loro datazione. E' ovvio che se un colore è presente su di un opera, questa non può essere antecedente all'invenzione ed, in relazione alla zona di produzione del manufatto, all'uso di quel colore.
I nostri progenitori cavernicoli utilizzarono, oltre 10.000 anni fa, per decorare le caverne: il nero, ottenuto dal legno bruciato, il bianco dal gesso, il giallo dalle ossa, ed i bruni dalle terre. Gli Egizi, grazie a strumenti di bronzo, ricavarono da rocce polveri fini da impastare per ottenere i loro colori: il verde dalla malachite, il cinabro dall'omonimo minerale, l'arancio-bronzeo dal relgàr (minerale di solfurodi arsenico), dall'azzurrite il blu ed il giallo dall'orpimento ( minerale di trisolfuro di arsenico). Ottennero anche altri due colori, il blu malto utilizzato solo sino al settecento dopo Cristo, ed il bianco di piombo, detto comunemente biacca; oggi in disuso perché velenoso. Questi ultimi si fabbricavano polverizzando gli smalti ottenuti per cottura nel forno del ceramista. La biacca soppiantò il gesso e fu utilizzata in maniera esclusiva sino al 1830, quando si scoprì il bianco di zinco, e poi nel 1916 quello di titanio.
I Romani scoprirono il porpora, ottenuto da un mollusco il buccino, il blu indaco, colore vegetale dalle piante indigofere; ma soprattutto il verde-rame dall'ossidazione di questo metallo.
Con il Duecento assistiamo a reali progressi, con l'introduzione del vermiglione, una qualità di rosso brillante (minerale di solfuro di mercurio), e del blu oltremare, ottenuto con la macinazione del Lapislazzuli; per l'appunto dal contrasto di questi due colori scaturisce molta ricchezza dei dipinti medioevali. Dai vetrai si derivò un'altra polvere macinata il giallorino; e dai tintori il rosso, ricavato dal rizomi della pianta robbia.